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LA VITA DAVANTI A SE
(LA VIE DEVANT SOI)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 7 settembre 1978
 
di Moshe Mizrahi, con Simone Signoret, Samy Ben Youb, Mohamed Zinet (Francia, 1977)
 
Prime immagini del film: musica araba, una strada affollata dei sobborghi parigini: Belleville, prostitute, il quartiere degli sfollati nordafricani. Carrellata in avanti, una donna che rientra con la borsa della spesa. Atrio di uno stabile modesto, disoccupati, donne e ragazzini arabi, Simone Signoret, sfatta e invecchiata, che fatica a salire le scale. Usci socchiusi, ragazzini e musica araba, ansimare crescente di Madame Rosa che deve farsi sei piani, e incontro con Momo, il ragazzino arabo dagli occhi chiari. Sono pochi minuti di proiezione di LA VIE DEVANT SOI, ma bastano a farci comprendere che, ancora una volta, da un capolavoro letterario non si è riusciti a ricavare più di una modesta, dignitosa illustrazione. Madame Rosa è ebrea, vecchia e ammalata. Lui, Momo, ha 14 anni, è arabo, con due occhi che nulla si lasciano sfuggire di questa vita che gli si apre dinnanzi. E' il maggiore dei ragazzini, figli di prostitute, che il donnone, dopo «s'être défendue avec son cul» (come sta scritto nel romanzo di Emil Ajar), s'è messa a tenere in pensione. Più per amore che per lucro.

L'illustrazione di Mizrahi, il regista, è quella che avrebbe fatto, nel compito di fine anno, lo studente diligente. Non manca niente, dai rumori del quartiere agli oggetti dell'appartamento- rifugio. E manca tutto. Tutto quello che riempie di grazia, di poesia, il romanzo. E che è del tutto assente nel film. Da quando il cinema esiste, e gli anni cominciano ad essere tanti, si ricasca nell'equivoco. Credere che, per passare dalle pagine scritte al grande schermo, bastino delle situazioni, dei personaggi, dei dialoghi. Nel migliore dei casi rimangono questi ultimi. Ma il resto non serve a nulla. Il romanzo ha un suo linguaggio, il cinema un altro. Per non perdere gli umori, nel passaggio da una forma all'altra, bisognerebbe potere, ogni volta, trovare un equivalente linguaggio cinematografico. Ora, lo straordinario potere di suggestione del romanzo nasce dallo uso che fa Ajar delle parole, del linguaggio. Una lingua nuova, inventata, a metà fra il suono della parlata dell'infanzia e dell'adolescenza, quella dei poveri, quella degli arabi o quella dei quartieri che hanno conosciuto la violenza. E la verità, la poesia di quel momento così faticoso nel quale un bambino si fa uomo, nasce proprio da quel tipo di parlata, stupendamente inedita e creatrice. La commozione che proviene dalla situazione, dal tipo dei personaggi, da quello che succede loro viene molto, molto dopo.

Nel film non c'è che questo, com'era da prevedersi. L'impossibile traduzione non è avvenuta, rimane una serie di primi piani di attori più o meno ispirati, e una sola intuizione cinematografica. Che quasi ci fa trasalire, in quel deserto espressivo: il rinvio mentale della morte della madre del ragazzino, che rivediamo sulla moviola che Momo sta osservando, nel primo piano di Virna Lisi, vittima di un incidente automobilistico. E' la sola, che io mi ricordi, idea cinematografica di tutto il film. Correte quindi, se ancora non lo avete fatto, a conoscere LA VIE DEVANT SOI. Ma acquistandovi il libro, possibilmente in francese


   Il film in Internet (Google)

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